Diario dei laboratori – Collettiva d’Arteterapia: le dinamiche psicosociali in relazione con le Arti

Report di Simona Colella

Il laboratorio di Arteterapia svoltosi durante lo scorso weekend a Lecce è stato condotto da Ilaria Caracciolo, psicologa clinica, psicoterapeuta ad orientamento psicoanalitico, gruppoanalista ed arteterapeuta.
Il tema del laboratorio “Collettiva d’Arteterapia: le dinamiche psicosociali in relazione con le Arti” ci ha dato l’opportunità di chiarire dal punto di vista teorico il Modello di riferimento, le dinamiche di lavoro IN-DI-ATTRAVERSO il gruppo nonché le differenze che intercorrono tra piccolo-medio e grande gruppo.
Il lavoro si è concentrato sul tema del Grande Gruppo e sui possibili stili di approccio alle dinamiche psicosociali in esso rilevabili. Le caratteristiche del Grande Gruppo sono la frammentazione e la fusione identificativa. Quindi per far sì che questo funzioni è importantissimo mantenere un certo ordine nel susseguirsi delle fasi di laboratorio.
La prima giornata è stata un susseguirsi di interazioni giocose. Dopo un breve giro di presentazioni durante il quale abbiamo avuto la possibilità di conoscere altri nuovi compagni d’avventura, ci siamo dati da fare per allestire il setting che ci avrebbe permesso di dare il via alla prima fase, quella fusionale.
Durante questa fase ci è stato chiesto di scegliere un colore e di presentarci al gruppo con la nostra aspettativa nei suoi confronti e nei confronti delle due giornate di formazione.

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Il passaggio successivo è stato quello di “prendere” qualcosa dal gruppo: con un foglio bianco abbiamo fatto ciascuno una stampa di un punto del fondale che ci colpiva particolarmente, associando a questo gesto una specifica caratteristica del gruppo. Dopo aver osservato la nostra stampa per qualche minuto, ognuno ha raccontato al gruppo che cosa ci avesse immaginato e vi ha associato un movimento che, attraverso la tecnica del rispecchiamento, il gruppo ha ripetuto una volta CON il diretto interessato ed una seconda PER lo stesso.

A questo punto ci è stato chiesto di ascoltarci per qualche istante e di individuare una parte del nostro corpo che avremmo voluto intingere nel colore e con la quale fare un ulteriore stampa su un altro foglio bianco (2° foglio).

image003In questa prima sessione, come nel resto delle due giornate ogni partecipante ha proiettato parti del Sé, mettendole a disposizione del lavoro trasformativo del gruppo, recuperandone, poi, delle altre capaci di modificare il suo personale percorso all’interno della relazione con il Grande Gruppo-Collettività.

La seconda sessione si riapre con un fondale bianco attorno al quale ognuno di noi ha posizionato il proprio “2° foglio”: la nostra “casa”. La consegna è stata quella di raggiungere minimo uno e massimo tre “case” in qualsiasi modo, cercando di non entrare in conflitto con i percorsi degli altri, ma trovando un compromesso con l’altro.

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Il risultato finale è stato un intreccio di strade, colori e strategie tipiche della relazione tra l’individuo e la collettività che ha messo in luce gli aspetti fortemente positivi e quelli potenzialmente perturbanti. Infatti, la richiesta è stata poi quella di dare un nome all’elaborato individuale/gruppale in base al proprio vissuto durante il lavoro. Ognuno di noi ha avuto modo di notare alcuni particolari del nostro metterci in relazione con l’altro e di condividerli col gruppo.

Questa seconda sessione si è sviluppata attraverso la formazione di tre sottogruppi nati dalla suddivisione del fondale in tre aree. Questo ha fa fatto sì che ogni area comprendesse minimo 4 delle parole che ognuno di noi aveva associato all’esperienza. Ad ogni sottogruppo sono state assegnate le parole di un area diversa dalla propria e la consegna è stata quella di sviluppare una performance sulle stesse. Il conduttore ci ha in questo modo concesso l’opportunità di creare un momento di relazione più intenso, più intimo, ricco di proposte e compromessi che si è concretizzato attraverso la creazione della performance trasformativa ma che ha veramente dato vita al significato di relazione come scambio. Durante la performance riguardante la propria area di parole, ogni sottogruppo ha avuto la consegna di rappresentare su un foglio bianco l’emozione o la sensazione che questa suscitava.

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Il passaggio successivo è stato quello di sviluppare un mandala pensando a quello che la performance ci aveva suscitato e a quello che noi avevamo rappresentato o descritto della stessa. Si è aperta così la terza sessione che ci ha concesso l’opportunità di lavorare sull’individualità nel gruppo. Una volta terminato il mandala infatti, si è proceduto con una breve verbalizzazione a conclusione della quale ognuno ha chiesto al gruppo di fare insieme a lui qualcosa, un gesto o altro prima di appendere il mandala in un punto del fondale con i nostri percorsi.

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Si è conclusa così la nostra prima giornata.

Quella di domenica è stata un esperienza completamente diversa eppure molto simile dal punto di vista teorico. La docente ci ha proposto l’esperienza della “Tessitura degli Intenti”. Particolarmente interessante e coinvolgente il significato intrinseco del semplice gesto ripetuto di avvolgere un filo di lana attorno a dei legnetti. La “Tessitura degli Intenti” meglio conosciuta come Ojo de Dios è una specie di mandala quadrato fatto di lana e ci è stato proposto di costruirlo pensando ad un intento, un progetto che vorremmo realizzare con l’accortezza di utilizzare almeno quattro colori
diversi. L’Ojo de Dios deriva dagli indiani d’America e la tradizione vuole che, quando nasce un bambino, il padre cominci la costruzione di un “occhio” e aggiunga un giro di un altro colore ad ogni anno di età del bambino, fino ai 5 anni. Dopo averlo finito, si appende ad un albero sacro.

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L’esperienza della tessitura è qualcosa di così banale eppure così intimo, un momento di riconciliazione col Sé. Il forte intento che ci leghiamo gli conferisce un importanza ed un affetto tale da avere davvero la sensazione che ci sia, sia lì e sia il nostro progetto. Conferisce al nostro desiderio una forma tangibile e visibile sempre.

Una volta terminata l’attività di tessitura e la successiva verbalizzazione, la docente ci ha raccontato del significato che viene attribuito ai vari colori e della loro possibile interpretazione. Una possibile chiave di lettura imprescindibile, naturalmente dalle esperienze personali di ognuno di noi.
image017La sessione successiva si è sviluppata disponendo i nostri intenti attorno ad un unico cerchio su un fondale bianco. Ad ognuno di noi è stato chiesto di scrivere lungo l’estremità destra del nostro “occhio” una parola che descrivesse il nostro intento. In questo modo, ognuno di noi ha avuto il suo spicchio di fondale limitato da due parole: la propria e quella del compagno alla nostra sinistra. La consegna è stata quella di riempire questa fetta di fondale pensando all’esperienza vissuta e alle due parole-limite.

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Abbiamo concluso l’esperienza con un giro di verbalizzazioni durante il quale ognuno di noi ha raccontato al gruppo come stesse procedendo il laboratorio. Questo è servito alla docente per procedere con l’ultima fase, quella ricompositiva. Ci è stato proposto di uscire fuori per una passeggiata, da soli o con i nostri compagni, di ascoltarci, ascoltare e di lasciarci sorprendere da ciò che ci circonda per trovare qualcosa che ci colpisse particolarmente e portarla poi al gruppo. Ci siamo ritrovati ad osservare la natura con la curiosità di un bambino che guarda il mondo per la prima volta.

Tornati dentro, ognuno di noi aveva con sé qualcosa alla quale aveva dato un significato tutto suo, nuovo, diverso. A turno abbiamo posizionato il nostro “tesoro” al centro del cerchio sul nostro fondale e abbiamo raccontato agli altri cosa ci avesse colpito di questo.

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Il laboratorio è stato per me l’ennesima conferma di quanto metodo con una giusta dose di creatività e novità siano caratteristiche indispensabili e di per sé terapeutiche per l’individuo.

Un doveroso grazie al gruppo e a Ilaria: affluenti di un fiume in piena.



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